mercoledì 8 novembre 2017

5 Novembre 2017 - New York City Marathon

Il 28 ottobre 1984 Orlando Pizzolato vinceva, primo europeo nella storia, la Maratona di New York. Avevo 13 anni e quella domenica, seduto davanti alla Tv, guardando vincere un italiano e sfilare a Central Park migliaia di atleti di ogni razza e nazionalitá, cullavo dentro di me il desiderio di poterne fare parte un giorno. Ma ero un ragazzino, la corsa non era per me, continuo a pensarlo anche oggi, in veritá, e poi si faceva fatica, correre 42 km ma siamo matti, no no, non é pensabile, e cosí quel desiderio l’ho chiuso in un cassetto senza avere la minima speranza di poterlo riaprire. Ma 4 anni fa ho iniziato a correre, cosí come iniziano quasi tutti, un po’ alla volta, poche centinaia di metri, poi 5 km, poi dopo 4 mesi 10 km, poi la mezza maratona e poi la distanza regina, il vero amore, che ho corso giá tre volte, e quel cassetto, timidamente, a Dicembre dello scorso anno, l’ho riaperto. A fine 2016 mi sono iscritto tramite il tour operator per eventi sportivi Terramia curato guarda caso proprio da Orlando Pizzolato, alla Maratona di New York, la maratona piú famosa, piú coinvolgente, forse non piú bella, anche se per me lo é stato, e con il piú alto numero di arrivati al traguardo, del mondo. La maratona della gente. New York si é messa il suo vestito piú bello per l’occasione e giá da alcune settimane prima dell’evento l’aria in cittá é quella del grande appuntamento che si aspetta un anno intero. I giorni precedenti la gara sono stati pieni, stancanti, ma anche fonte di grande arricchimento personale a livello culturale. Si é dormito pochissimo, complice il jet-lag, e si é camminato tanto. Ho conosciuto Pizzolato di persona, con il quale é stato organizzato un allenamento collettivo a Central Park, e il dj Linus, testimonial di Terramia. E ho conosciuto anche alcuni ragazzi, Massimo, compagno di stanza d’albergo, col quale fin da subito si é instaurato un clima goliardico e amichevole, e Simone, ragazzo di Running forum, col quale ho condiviso alcuni momenti davvero piacevoli nel dopo-gara. E cosí quel giorno progettato da quasi un anno ed atteso da quasi 34 é arrivato. É l’alba del 5 Novembre 2017. La sveglia é praticamente inutile perché nonostante ci sia il cambio dell’ora, da legale a solare, alle 4.00 io e Massimo siamo giá svegli. Il materiale tecnico é preparato dalla sera prima con il pettorale ritirato all’Expo giá appuntato sulla canotta Terramia personalizzata col nome. Ci sarebbe da spendere qualche parola sull’expo, gigantesco, una sorta di fiera del running, con prodotti di merchandising griffati New York City Marathon che compreresti spendendo un capitale. Il ritrovo é previsto nella hall dell’albergo alle 5.20 per le wave 1 e 2 ( Sono previste 4 wave a seconda dei tempi dichiarati, io e Massimo siamo in 2), per prendere la navetta che ci porterá a Battery Park da dove partono i ferry boat per Staten Island da cui la maratona prenderá il via. Fa freddo, non tanto per la temperatura in se, ma per il vento, gelido. E le previsioni meteo danno pioggia in corso di gara. I pensieri vanno alla maratona di Roma di quest’anno e gli scongiuri sono d’obbligo. Arrivati nei pressi di Battery Park più precisamente a Lower Manhattan nel molo South Ferry, i primi controlli, verifica pettorale e ispezione cinofila. Poi fila, tanta fila, per prendere il ferry. Il tragitto di circa mezz’ora ci fa ammirare la statua della Libertá in lontananza anche se col freddo che fa preferiamo stare coperti verso l’interno. Arrivati a Staten Island al St. George Ferry Terminal su Richmond Terrace altro controllo del pettorale e altra ispezione. Passati questi decidiamo di sederci per terra al terminal traghetti, visto che questo é l’unico posto dove poter stare riparati prima della partenza. Conosciamo un gruppo di 5 italiani che hanno partecipato altre volte a questa gara che ci danno qualche dritta sulle modalitá di partenza, ma anche loro restano spiazzati dalle misure di sicurezza che gli americani hanno messo in atto quest’anno dopo l’attentato a Manhattan di qualche giorno fa. Infatti ci troviamo con una marea umana davanti quando decidiamo di passare allo step successivo, prendere l’autobus fino a Fort Wadsworth ai piedi del Ponte di Verrazzano da cui si partirá. Alle 7.30 siamo all’inizio della pensilina fuori dal terminal dei ferry boat, alle 8.40 ne usciamo. La polizia deve procedere a bonificare ogni autobus e i tempi si dilatano a dismisura. La consegna borse prevista per le 8.50 ormai é saltata perché l’autobus impiega 40 minuti per arrivare al villaggio di partenza. Capirete che la sveglia, il clima, i controlli, le attese, ed ora anche i ritardi aumentano a dismisura lo stato d’ansia che giá bastava di suo senza queste ulteriori beghe. Per fortuna un po’di tolleranza ci consente di cambiarci e consegnare le sacche all’organizzazione anche se in ritardo sul previsto, perché, dopo tutto, i ritardi li hanno causati loro. Nel frattempo io e Massimo ci siamo separati, lui ha imboccato la strada per il villaggio verde (partirá sotto al ponte), io per quello arancio (partiró sul lato sinistro del ponte con vista su Manhattan, peccato che la giornata non é delle migliori e il panorama ne risenta). É prevista anche una terza partenza, la blue, che invece avrá la prima parte del percorso sul lato destro del ponte di Verrazzano. Il villaggio é davvero carino, ci sono stand che offrono integratori, caffé, té, donuts ma io voglio andare sul sicuro. Mi sono portato in un sacchetto fette biscottate e marmellata. La felpa che abbandoneró sulla start line, per essere donata successivamente ai senza tetto, tiene caldo. Una volta consegnata la sacca, fino alla partenza, quindi per circa un’ora, non si puó consegnare piú nulla all’organizzazione quindi o ti tieni addosso quello che hai o lo butti via prima dello start. Anche durante la gara in veritá, soprattutto sul ponte di Verrazzano, l’asfalto diventerá un tappeto di maglie, giacche e pantaloni. Ogni colore ha poi dei corral, circa 8, contrassegnati da lettere crescenti, io sono nel D. Nel mio stesso corral, in cui entro circa 20 minuti prima dello start , conosco Simone, un ragazzo iscritto a Running Forum, parliamo dei nostri rispettivi obiettivi e ci diamo appuntamento in serata visto che andremo assieme a festeggiare guardando una partita della Nba al Madison Square Garden e poi a cena. Ma dicevamo, manca poco. Circa 10 minuti prima del via fissato per me alle 10.15 tolgo la felpa e la inserisco nei cassoni per la Caritas. Ci si sposta a passo lento ai piedi del ponte, la tensione é palpabile, tutti fotografano tutto anche se forse non c’é niente di cosí spettacolare da fotografare oltre al ponte stesso. E poi, parte l’inno americano. Brividi, brividi che da ora non mi abbandoneranno piú. Pronti... “oooone minute” e poi sempre meno e poi “buuuuum”. Un colpo sordo mi fa trasalire. Il colpo di cannone dá il via alla gara. Partono le note di “New York, New York” di Frank Sinatra. Sono nel sogno e non me ne rendo conto. Voglio godermi questa gara cosí tanto che per la prima volta corro senza cuffie per la musica. Si inizia a camminare, prima piano poi un po’ piú veloce e poi si corre, a freddo, senza riscaldamento e stretching perché di posto per farlo non ce n’era e col punto piú duro dell’intera corsa subito lí, una salita di circa un miglio (1600 m ). Decido di correre a sensazione , non sono dislivelli incredibili, in questo miglio si sale di 50 metri, poi si scende di 60 nel miglio successivo. Ma si rischia di pagare tutto alla fine. Non avendo ossessioni cronometriche, piú strada faccio correndo, meglio é. Arrivo alla fine del ponte, dopo la discesa in picchiata, in 16 minuti. Il panorama é davvero incantevole, peccato per quel po’ di foschia. Fisicamente sto bene anche se ho un leggerissimo fastidio al polpaccio destro dovuto probabilmente alla partenza a freddo. Si entra nel distretto di Brooklyn, il secondo dei 5 toccati dalla maratona. E qui comincia il giubilo. Gente ovunque che fa un casino assordante. Cartelli divertentissimi che piú avanti, quando la testa sará un po’ in difficoltá, saranno di grande aiuto. Ne cito un paio “ The machine is around the corner” e “Pain is a french word that means bread”. E poi sento tutti che urlano il mio nome, in veritá urlano il nome di tutti quelli che hanno la maglietta serigrafata. E poi “Forza Italia” o ancora, “dai Enzooo”, incredibile, davvero!! Ma quanti sono!! Non guardo l’orologio, do il “5” ad alcuni bambini, tutti felici, ne vedo uno disabile, avrá non piú di 6 anni, torno indietro di qualche metro, lui lo merita piú di altri, e cosí avanti per Bay-Ridge, Sunset Park e Bedford-Stuyvesant. Una marea umana, musica improvvisata, altra organizzata. Complessi rock, bande musicali, cantanti solisti, cori gospel. La prestazione sportiva non conta, non puó contare oggi. Ogni quartiere attraversato ha le sue particolaritá, siamo lontani dai grattacieli sfavillanti di Manhattan, case basse, ristoranti e bar piú “alla mano”. Bedford-Stuyvesant ad esempio é il cuore della cultura afroamericana a Brooklyn, come Harleem lo é per Manhattan o Brighton Beach sempre a Brooklyn, che non viene attraversato dalla maratona, lo é per i russi. Ció che non cambia ovunque é la partecipazione, il voler essere parte dello spettacolo da spettatori. Ovunque, si diceva, ma non a Williamsburg, il quartiere ebraico di New York. Qui sembra di entrare in un’altra dimensione, silenzio assoluto, passanti con barbe lunghe e lunghi soprabiti neri, passeggiano quasi infastiditi dai passi dei 60000, solo stoicamente due ragazzi, probabilmente capitati lí per caso, cercano di suonare qualcosa nella totale indifferenza degli abitanti. Si supera anche Greenpoint, l’ultimo dei quartieri di Brooklyn per arrivare al Pulaski Bridge dove é situato il punto virtuale della mezza maratona. Finora, devo ammettere, ho guardato solo saltuariamente il crono, completamente estasiato da quello che mi circondava, il tempo é davvero volato, le gambe, leggermente appesantite all’inizio, si sono sciolte, i ristori, qui posti ogni miglio, assolutamente all’altezza di una corsa cosí importante. I passaggi ai vari intertempi abbastanza regolari, dopo tutto la prima parte é quasi priva di difficoltá se non per il ponte iniziale, ai 5 k in 26m 31s, ai 10 k in 52.44, ai 15 k in 1.19.41, ai 20 k in 1.46.52, alla mezza in 1.53. Probabilmente potevo fare meglio, magari un paio di minuti, ma sono andato in parte volutamente piú lento perché dal 25 km il percorso diventa piú duro e dopo i 35 km é un viaggio nel buio. In allenamento non ho superato quella distanza e non so come le mie gambe reagiranno ai sali scendi di Manhattan. Il passaggio sul Pulaski Bridge é la prima sollecitazione di un certo rilievo per i polpacci da inizio gara, 850 metri di lunghezza, 12 metri di altezza, non un granché, ma queste variazioni di pendenza alla lunga possono fare male. Si entra nel Queens. E altro bagno di folla. Fantastico leit-motiv di tutta la gara. Il tempo sta tenendo, sembra debba piovere da un momento all’altro, piovigginerá, alla fine, ma niente di trascendentale, il vento si é calmato un po’, insomma condizioni ideali per correre. Tutto procede per il meglio fino a metá del km 24 quando raggiungo il temutissimo Queensboro Bridge, il ponte sull’East River che collega i distretti del Queens e di Manhattan. Una salita di 600 metri che sembra l’Everest, altezza 107 metri. Lí salta anche il Garmin, che impazzisce segnandomi un ritmo da bradipo. Vengo passato da una decina di atleti che fanno i fighi, almeno 4/5 li riprenderó piú avanti sulla First Avenue quando passeggeranno. Passaggio ai 25 km, 2h 18m, un po’ alto ma sul ponte del Queensboro avró lasciato almeno un minuto e mezzo. Entrati a Manhattan l’apoteosi. L’ingresso sulla First Avenue é chiamato il Maracaná del corridore ed é intuibile il perché. Sul ponte del Queensboro gli spettatori non possono andare quindi, semplicemente, si accalcano nei primi punti disponibili. Ed é un tripudio di grida, musica, tamburi. Pelle d’oca!! Se uno pensa che passato il ponte del Queensboro la strada verso l’arrivo sia in discesa si sbaglia di grosso. Da ora in poi é tutto un sali scendi. La first avenue é una strada di 6 km ma mentre la percorri ti sembrano 600. Non finisce mai, e qui la tenuta mentale per non saltare é fondamentale. Manca tantissimo ma superato questo scoglio hai il profumo degli alberi di Central Park che ti aiuterá. Arrivo al km 30 in 2.45.15. Mancano 12 km, comincio ad accusare un po’ di fatica. É il momento in cui la testa deve cominciare a funzionare piú delle gambe. Cerco di isolarmi mentalmente nella confusione, cercando di focalizzare cosa mi ha portato fino qui, quali le motivazioni. Altro ponte, il Willis Avenue che per circa 3 km fa entrare la maratona nel distretto del Bronx. Ora viaggio con la testa, penso ai film che narravano di gang delinquenziali, scoprendo gente molto diversa da quel vecchio stereotipo. In effetti col tempo questo distretto é diventato quasi un sobborgo di Manhattan e pur mantenendo un tasso di disoccupazione elevato é oggi abitato da molti che lavorano come pendolari a Manhattan. Si entra a Manhattan tramite l’ennesimo ponte, il Madison Avenue. La corsa procede per Harlem giú lungo la 5th Avenue. Ora é il momento dei lustrini, la Manhattan bene, gli eleganti e lussuosi edifici che si affacciano sui parchi. Residenze storiche e musei si alternano a moderni grattacieli. E anche qui, manco a dirlo, gente ovunque ai lati della strada, solo che adesso le urla, i rumori e la musica con l’aumentare della stanchezza stanno diventando quasi fastidiosi. Solo i cartelli non mi stancano, quelli continuano a farmi sorridere e contribuiscono a tenermi sul pezzo. Il ritmo é ormai calato inesorabilmente, anche perché i sali scendi sono diminuiti ma non finiti. Si passa accanto al Marcus Garvey Park, mi illudo sia Central Park, ma ci vuole ancora un po’. Km 35 in 3.14.58. Si prosegue sulla 5th avenue, mancano 7 km, un’eternitá, ma cosí pochi se paragonati ad una normale uscita di allenamento. Al ristoro del km 37 decido di fermarmi un attimo a sorseggiare acqua con piú calma, prendo un gel, l’ultimo, respiro profondamente. Perdo un minuto circa. Non importa. Poco dopo il museo del Guggenheim si entra nel parco. 4 km all’arrivo. Le gambe girano meglio adesso. Ripenso a Roma e a quei maledettissimi crampi degli ultimi km, cerco di scacciare le negativitá, sto per realizzare il mio sogno, nulla deve essere negativo. Columbus Circle, due giorni fa ci siamo trovati qui con Pizzolato e Linus per la foto di gruppo, 33 anni fa Pizzolato qui imboccava l’ultimo miglio per conquistare la sua New York,ora qui io imbocco l’ultimo miglio per conquistare la mia. Si rientra in Central Park. Estraggo la bandiera tricolore che fino ad ora ho custodito nel marsupio, la lego al collo e corro per gli ultimi 1500 metri tra due ali di folla festante. Ho il cuore che batte all’impazzata, il traguardo lo si vedrá solo negli ultimi 200 metri, prima una serie di curve, non bado nemmeno al cronometro che mi sta proiettando verso un assolutamente insperato personal best, ad ogni passo viaggio un po’ piú indietro nel tempo, ora lo vedo l’arco, lo riconosco, é quello che abbiamo intravisto l’altro giorno quando lo abbiamo lambito nell’allenamento collettivo. Alzo le braccia al cielo, 50 metri, 40, 30, 20, 10 urlo, ora ho 13 anni, sono di nuovo quel ragazzo davanti alla Tv folgorato dalla Maratona di New York. Una lacrima a rigarmi il viso mentre mi mettono la medaglia al collo ed io, che ho di nuovo 46 anni, realizzo quel sogno di ragazzo. 3h 55m 41s personal best. La mia New York.

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